La crisi economica mondiale sta provocando un massiccio aumento della
disoccupazione, che colpisce specialmente i giovani, un effetto accelerato
di un processo irreversibile che porterà in breve l’umanità a fare a meno
quasi completamente del lavoro.
Il progresso scientifico e l’automazione negli ultimi anni hanno fatto sì
che, con una quota minore di lavoro, si riesca a produrre una maggiore
quantità di beni e servizi, una cosa certamente positiva che nel tempo
potrà liberare l’uomo dalla maledizione biblica di essere costretto con
gran sudore a procacciarsi il necessario per vivere.
Paradigmatico è l’esempio di quanto produce un contadino americano ed uno
africano: il primo grazie ai fertilizzanti, alla cospicua irrigazione ed
all’uso di macchinari riesce a produrre quanto cento dei suoi colleghi
africani, per cui, ipotizzando che in futuro anche loro potranno usufruire
degli stessi accorgimenti, fra non molto il lavoro di uno solo potrà
bastare a produrre il cibo per gli altri 99, i quali potranno anche non
lavorare, se però colui che produce sia disposto a dividere con gli altri
il frutto del suo lavoro. E qui nascono le difficoltà forse insormontabili
per l’egoismo dell’uomo, probabilmente bisognerà creare una rotazione nel
lavoro: un giorno ogni cento. Una prospettiva allettante che invita però
alla meditazione sulla sua fattibilità, dopo che per anni abbiamo
ascoltato l’utopico slogan “lavorare meno lavorare tutti”.
In numerosi altri campi la riduzione del lavoro è stata massiccia, mentre
il prodotto ha continuato ad aumentare senza sosta, riuscendo a soddisfare
gli scriteriati bisogni crescenti di una civiltà dominata dall’imperativo
categorico di consumare, consumare ed ancora consumare.
Non è ipotesi fantascientifica immaginare un mondo nel quale il lavoro non
sarà necessario ed i beni ed i servizi necessari saranno realizzati dalle
macchine e dai robot.
Il problema drammatico sarà costituito dalla distribuzione dei prodotti,
venuto meno anche l’uso del denaro o quanto meno del modo per
procacciarselo al quale siamo abituati. Ed a complicare ulteriormente il
quadro vi è il moloch della globalizzazione, che annulla le decisioni e le
volontà non solo dei cittadini, ma degli stessi Stati, impotenti davanti
al potere cieco delle multinazionali.
Potremo in futuro, quanto prima, liberarci dal fardello del lavoro, ma
dovremo affrontare e risolvere una serie di non facili problemi:
distribuire equamente la ricchezza e creare una reale uguaglianza tra
nazioni e cittadini.
Un compito arduo ed affascinante che dovrà essere l’obiettivo delle nuove
generazioni, le quali dovranno essere in grado di trasformare la crisi
attuale in occasione di crescita. Una rivoluzione che cambierà la nostra
vita, il nostro modo di pensare e di relazionarci col prossimo. In caso
contrario ci attendono fame, rivolte, guerre ed una instabilità politica
generalizzata con il tramonto della democrazia e l’instaurarsi ubiquitario
di tirannie.
Achille della Ragione
Fonte: Achille della Ragione