Bruno Russo- RITIRO INGIUSTO ( da 'Il Secolo' del 29/04/06 pag. 14 )
Lasciare l’Iraq è un insulto ai ‘nostri’ cari che sono caduti in questi anni mai invano: significa rispettare la necessità di conseguire con continuità il fine ultimo per il quale essi hanno dato la vita: per mantenere la stabilità di una pace e di una democrazia ritrovata. Ma occorrerebbe seriamente mettere mettere sotto inchiesta quei macabri cori, che costituiscono un vero insulto allo Stato che si fa sempre più pesante, come una goccia cinese che può perforare la credibilità delle Istituzioni. Occorrerebbe perseguire queste offese come si fa in alcune aule in cause penali per danni morali, la cui origine al confronto farebbe ridere.
Insultare delle persone che sono morte per la pace è la cosa più bassa che
un essere umano possa fare: oggi si reagisce maggiormente per uno
striscione che insulta i natali di un calciatore o che porta una croce uncinata per sottolineare l’aggressività di una tifoseria, rispetto a degli slogan che offendono le nostre coscienze, i nostri morti, una Nazione impegnata al fronte come in una guerra, senza essere una guerra. Per i no global i nostri ragazzi sono mercenari che non meritano alcun rispetto, mentre la sinistra afferra la palla nel suo rimbalzo e dichiara che è il momento ideale per fare le valigie e tornare a casa: ma la presenza dei nostri soldati adesso è più rilevante di prima perché altrimenti si ritornerebbe a casa stralciando l’orgoglio e la dedizione di quei ragazzi, che ora sono caricati più di prima sapendo di dover loro portare a termine un compito dei loro fratelli compatrioti, caduti praticamente tra le loro braccia. Certe volte sembriamo dei recipienti che non comunicano mentre il liquido contenuto straripa ed inonda le vie della nostra esistenza, mettendoci singolarmente, senza l’aiuto di nessuno, a soffrire per la violazione del rispetto. Occorre che il vento cambi prima che sia troppo tardi.
Bruno Russo. Fonte: Bruno Russo
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