Bruno Russo- LAVORO GIALLO IN NERO ( dall' 'Indipendente' del 24/11/05 pag. 4 )
Le parole di Bush a Pechino ripropongono un tema che non riesce ad occupare molto spazio nei tentativi di accordo tra i due paesi: la limitazione della libertà di stampa e di espressione non può essere presente in un paese in crescente sviluppo perchè, ogni forma di cooperazione economica e politica, duratura nel tempo, non può non basarsi su di un equilibrio interno che tra le tante aberrazioni utilizza, come fonti inesauribili di mano d'opera, le migliaia di persone rinchiuse nei lager. La Cina è una nazione che ha una tradizione nobile che squarcia la dimensione nel tempo fino ad arrivare alle datazioni più remote, ma come in tutte le salse è accaduto che il materialismo puro che è il solito antidoto che viene assunto per sopperire ai mali del capitalismo, porta inesorabilmente allo sfruttamento ed alle tecniche più infelici per aumentare la produsione. Contando poi, che l’innumerevole mole di cinesi è nota in tutto il mondo, occorre sottolineare che un processo del genere è più facilmente applicabile perché più è grande la massa e maggiori sono le probabilità che il lavoro richieda procedimenti estremi per diminuire la disoccupazione. Il problema è che in Cina si lavora in nero perché i problemi economici che i governi del passato hanno apportato, comportano che il processo di lenta decrescita della curva del profitto duri di più prima di prendere l’impennata. Un modo per diminuire l’intervallo temporale che separa dalla vetta è il lavoro nero, ma ciò non fa assolutamente onore a chi lo ha ritenuto un male minore.
Bruno Russo
Fonte: Bruno Russo
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