Riflettendo sui temi della giustizia, che si spalmano sui rotocalchi come
marmellata a merenda, mi è venuta la curiosità, che spesso è
chiarificatrice, di andare a vedere in uno di quei vecchi vocabolari, il
significato della parola. Non è la prima volta che tornando a definizioni
elementari delle cose, la riflessione si concentra su particolari
apparentemente trascurabili, che fungono come il lievito per il pane. La
definizione riportata era: il diritto di ciascuno nei confronti altrui;
virtù che porta l’individuo a dare agli altri quanto materialmente e
moralmente dovuto. Ho pensato alla bilancia, normalmente accompagnata dalla
parola lex, che riproduce un riferimento preciso, che nel tempo si è letto,
solo, nelle sue pretestuose e strumentali controindicazioni. Orbene, come
può essere definita virtù, una normale operazione di diritto che ripone un
bene sulla bilancia degli effetti, per ottenere l’equilibrio morale e
materiale ci ciò che si è dato? Credo che la soluzione provenga dal
passato, quando l’applicazione della giustizia corrispondeva all’offesa
ricevuta piuttosto che al beneficio, e la virtù non era altro che il
compito doveroso dell’individuo di riacquistare la dignità, agli occhi
degli altri e per sé, un vero recupero morale e materiale. Oggi anche se
nulla è cambiato, apparentemente, una definizione che forse è presente
anche in altri libri o vocabolari, sortisce l’effetto di riscoprire
l’etimologia come funzione chiarificatrice, tra il riferimento giuridico e
quello pratico. Un legame che, credetemi, sfugge a molti. La realtà è che
oggi l’uomo riacquista il rispetto degli altri e di se stesso, dimostrando
che è capace di sovvertire una realtà che, nonostante le regole, è
negativa. Una realtà che è negativa perché oggi la virtù non paga e il dio
denaro è diventato, unicamente e senza controindicazioni, veramente il
padrone di tutto. Ne consegue che la legge, quelle che dovrebbe mettere
dentro chi ruba, uccide, violenta, o truffa il prossimo, non ha più la
valenza morale per essere applicata senza controindicazioni, e la virtù
diventa agli occhi di molti un modo per raggirare gli ostacoli più impervi,
e alla fine, delinquere, equivalentemente. Il nodo si scioglie con miriadi
di carte, che alla fine non servono a nulla, ma hanno un costo e non di
certo esiguo. La burocrazia cresce, la sua gestione rallenta: alla fine
molti vincoli religiosi e giuridici, si sciolgono semplicemente pagando.
Non si ha la capacità di trovare soluzioni alternative, nemmeno scrivendo
libri e parlando bene alla tv. Alla fine le cose non cambiano. Molti
intellettuali, tra i quali mi accodo, danno la colpa di tutto questo alla
Rivoluzione Francese; ai suoi effetti potentissimi che come uno tzunami
hanno avvolto regimi e imperi, ma che in casa propria, la ‘douce france’
hanno sostituito una oligarchia a un’altra oligarchia. Addirittura nella
sinistra francese si insinua che la parola ‘egalitè’ sia stata male usata
da tutta la sinistra europea, finendo per essere strumentale e, quindi,
vuota di significato, ovvero di virtù. Il buonismo forse è nato in tali
menadri e luoghi, sostituendo alla certezza dei comportamenti il
disamorevole potere del dubbio, che non a caso proviene dall’assenza di
prove certe. Non sono queste solo chiacchiere, comprovabili dal fatto che
proprio nello stesso vocabolario, molte volte la giustizia si accompagna
alla parola fortezza. La soluzione dipende da avere gli uomini adatti al
potere che incarnino senza compromessi tali proprietà e guardandosi da quei
buffoni di corte, che hanno il compito preciso di svilirne il valore agli
occhi della gente. La virtù deve riprendere il suo aspetto dovuto per
salvare la giustizia in Italia.
Bruno Russo
Fonte: Bruno Russo