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21/01/2008 ARTICOLI  
Bruno Russo- LA RADA NOVA
E’ l’impianto dell’azienda del progresso ove a tentoni, lastrichiamo i tappeti divelti dalle indigenze per assimilare nuove emozioni. Il tempo sembra cambiare in modulo e verso e noi lo seguiamo come impazziti, finendo nello stagno delle occasioni che da perdute, stanno diventando mere regolarità. Nella rada nova mi ritrovo spesso con il cranio impazzito, ogni sconvolgente scoperta mi riporta all’infanzia. Per altri motivi volevo uscire dal mondo, senza morire, semplicemente aprendo una porta senza salutare nessuno, precipitando nell’altra stanza, dove si perdono le generalità ma non le impronte; dove pian piano, i ricordi vengono cancellati lasciando un solco nell’anima.. Riportavo fanciullo le uscite sonore ai lobi vogliosi, per immergermi in una piscina di forza e dolcezza, senza nessun fardello o rendita. Facendo solo le vasche della vita, nella melodia che si compiace, ritrovando l’essere migliore, che non si nasconde per il disprezzo, che non carica le parole degli altri, che non piange. Il fermento mi apriva nuove strade, nuove opinioni, slanci furtivi. L’uomo è un quadrato che scorrendo lungo un piano, cerca di abbandonare la dimensione nota: non appena viene riconosciuto se ne scappa con un moto accelerato all’incontrario, come se il traguardo si fosse posto all’inizio di ogni percorso. Non capirò mai come si possa architettare un sistema così complesso come la vita, ove non appena ti leghi veramente a qualcosa te la senti scappare. Se vivi l’incanto lo devi nascondere, il buio non è il regno della morte ma è il luogo preferito dell’amore, languido, sottile come un petalo di rosa che ti ritrovi scaldato, ogni giorno che attraversi il tuo giardino. La rada nova è la possibilità che può nascere in ogni menzogna, in ogni disastro, di riprendersi la dignità dell’essere e amare senza ritegno alcuno. E’ la difesa dello spirito sul corpo. La musica non stanca mai, invade le tue membra come una droga potente e si succhia tutto lo spazio ove ristagnano pensieri e tormenti. Hai nascosta la sabbia del deserto in una lada di mercato, ove poter svendere le cose a buon mercato. Nobel della semplicità, ingeristi la tua specializzazione nel tempio della depravazione, ove il senso tocca l’acme solo se diviene dolore e si espande oltre la porta del terreno. Infante lacrimavo in una nera carrozza col merletto devastato dagli ingombri, non conoscevo nulla ma sentivo l’imbarazzo dei mio letto sfatto sopra un deserto, oltre al quale il mare dell’abbondanza, da dove provenivo. Il grembo materno era l’imbuto dei miei sogni dai quali mi avevano calettato. Tanti ne ho conosciuti dopo, tanti ho dovuto abbandonare, sentendo il bisogno di definire l’esistenza come un mondo senza Dio. Poi ho colto il senso delle cose attraverso il dolore e mi sono intristito senza possibilità di ritorno: è possibile che taler sistema sia fondato sulla sofferenza? Ha senso creare un mondo per far capire che esso stesso ha validità se si riesce ad essere felice attraverso le lagrime? Ho pensato al paradigma, offerto dagli studi dell’ingegno, ove si deve edificare un modello, come una colonna in miniatura per un tempio, per poterlo poi fare al naturale. Pensiamo allora all’uomo come un essere insignificante, come una pecora, che un bel giorno si ritrova sulla scena e inizia a muoversi, timida errante per lo spazio vuoto; poi le insegnano le delizie del prato e dell’erba fresca, lei inizia a mangiare e a vivere. Ma il suo destino finisce macellato sulla tavola di un uomo, o ritratto in un olio sacro, a rappresentare il tenero sogno infranto. Perché deve esistere la pecora? Perché deve esistere il maiale, la tortora o il cammello? Non ho risposta e continuo nel vago a raccogliere frutta fresca e acerba. L’authority del mio destino avrà deciso di riporre i miei pensieri in un involucro insignificante, che se aperto fornisce il dubbio e le emozioni incerte.

Bruno Russo
Fonte: Bruno Russo
 

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