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20/06/2010 ARTIC OLI  
Bruno Russo- IL MITO IN PIAZZA ( da "Il ROMA" del 12/06/2010 pag. 26 )
Pomigliano ascolta, osserva e attende nuove sul suo futuro lavorativo. Al tavolo delle trattative tra Fiat e tute blu, il passo decisivo non è ancor avvenuto, mentre stando alla cronaca anche Emma Marcegaglia, dopo aver perso la pazienza, ha tuonato a zero contro chi non vuole mollare determinate posizioni, che ormai sono tese più allo scontro che all’incontro, e il pericolo all’orizzonte è quello di perdere degli investimenti per ben 700 milioni di euro. E’ vero ordunque , che le forza del lavoro sono arroccate culturalmente su vecchie posizioni, ma è altresi vero che molti diritti contrattuali sono stati via via disattesi e caduti sotto la ruspa delle necessità. Ne consegue la precarietà delle realtà sociali e lavorative di Pomigliano e delle attese, che dopo il tripudio per la vittoria del centrodestra, si sono trasformate in sogni possibili. “Il lavoro non si tocca” si diceva un tempo, ma in un modo nell’altro, anche questo muro è caduto e la gente per le strade di Pomigliano parla ogni giorno di più di crisi, di chiusura dei negozi, di precarietà e di smantellamento generale. L’unica speranza da non lasciare come il miele al sole, sul pistillo del fiore migliore della politica da venti anni a questa parte, è che la Fiat si renda conto che al sud nasce il genio dell’ingegneria imprenditoriale, come la vita del suo marchio inglobato, Alfa Romeo, ampiamente dimostra. Dalla prima vettura del 1911, un 24 hp subito esordiente nella famosa Targa Florio, si passò in breve tempo al modello prestigioso del 40-60 hp abile a imporsi con il suo motore di oltre sei litri. L’anno 1915 è la volta della nascita del volto più importante del marchio perché la società venne rilevata dall’Ingegnere Romeo, adducendo il suo nome al marchio dalla fine della prima guerra mondiale. Mai una casa automobilistica ha ricevuto tante metamorfosi a carattere soprattutto azionario nel tempo e adesso, proprio le difficoltà di tenere in piedi la fabbricazione di un gioiello, consistenti nella contemporaneità di qualità e produttività, ha impedito nella vecchia gestione Fiat che ne raccolse il marchio, di esportare il prodotto altrove, come avverrà in futuro con in lancio di alcuni modelli di punta del “biscione” sulle strade americane. Quante cose sono avvenute negli anni e quanta tecnologia e operatività si è accresciuta con sacrifici difficili da immaginare; la crisi mondiale del 1928 che fece uscire di scena l’Ing. Romeo , l’affidamento del pacchetto azionario della società all’Iri fresco costituitosi nel 1933, l’ingresso in Finmeccanica dopo le rovine della seconda guerra mondiale, la costruzione dello stabilimento di Pomigliano d’Arco nel 1968. Quello che non è riuscito a fare la guerra sembra lo voglia fare la crisi, sulla quale stallano le volontà sia del mondo imprenditoriale che della politica che può muoversi fino ad un certo punto. Pomigliano aspetta, i cittadini aspettano, per saziare l’atavica sete di lavoro; le industrie aspettano per saggiare la reale volontà di Confindustria di svolgere un ruolo attivo nella contesa e non limitarsi alle buone intenzioni. Questa è la precarietà, il limite delle speranze umane che si fermano sempre in prossimità degli accordi senza poter vedere in breve il vicino traguardo. Così passano le generazioni e molti lasciano il posto ai loro figli, anche prima della scadenza dovuta, per trasmettere in tempo la desiderata sicurezza del posto certo. A Pomigliano di vetture Fiat e Alfa Romeo, per non dire Lancia, se ne vedono tante, grazie alle facility d’acquisto per i dipendenti. Come è caratteristico vedere come in un Paese che ospita determinate aziende, tutto possa girare attorno alle stesse, a dimostrazione di quanto sia necessario il binomio industria-cittadino, un volano che non può essere lasciato girare a vuoto per troppo tempo.

Bruno Russo


Fonte: Bruno Russo
 

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