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18/04/2008 CULTURA  
Ferdinando Maddaloni- MA RECITI O FAI SUL SERIO?
Quel tragico 11 settembre 2001, non so quanto tempo sono rimasto davanti al televisore a guardare quelle tristi immagini: quello che vedevo non era il set di un film, ma come tale veniva considerato, con tanto di spot pubblicitari ad interrompere la scena dell’aereo che penetrava all’interno delle Torri, ripreso dalle varie angolazioni.
Confesso che quando mi sono ripreso dallo choc e ho ripreso a “vivere”, niente era più come prima. Nei due anni precedenti anche io avevo spesso confuso verità e finzione, lavorando come actor’s coach nella fiction “LA SQUADRA”. Mi ero trovato ad affrontare spesso, nella solitudine della mia stanza di prova, problemi, richieste dei registi legate ad un’esasperante sete di realismo da ottenere in tempi ristrettissimi, raggiungendo a volte successi ma anche punte di alta comicità.
Ripensavo al mio primo incontro come coach con una signora che doveva interpretare la parte della madre di un poliziotto ucciso. La scena era quella straziante del funerale e la signora mi confessò di essere alla sua prima esperienza e di avere notevoli difficoltà a piangere. Se una buona dose di collirio avrebbe potuto consentire un’abbondante pioggia di lacrime, non altrimenti sarebbe stato per le corde vocali. Così, scavando nella vita personale della signora, trovai dei dolorosi ricordi che, abilmente stimolati, aiutarono la signora a trasportare nell’interpretazione i suoi drammi personali… E la scena fu salva! (il problema fu solo far smettere di piangere la signora…)
Un giorno, poi lessi che in America, un regista di nome regista Danny Provenzano (nessuna parentela con il boss della mafia arrestato in Sicilia) dopo aver girato con sconvolgente realismo un film sulla mafia dal titolo This Thing of Ours, aveva ammesso in tribunale di aver compiuto di persona gran parte dei crimini raccontati nella pellicola, per capire meglio cosa si provava.
Sentii allora il bisogno di recuperare un limite e tornai alle origini della mia formazione di attore ripescando un testo di Eduardo De Filippo dal titolo “L’arte della commedia” in cui una battuta del protagonista mi ha riportò ad una dimensione più umana: “… perché nell’arte la suprema verità è stata e sarà sempre la suprema finzione…”.
Il cortometraggio che ho realizzato è un po’ il sunto di questa mia storia personale che vorrei condividere con quelli che, facendo il mio stesso lavoro di attore, sono costretti a scavare nel proprio animo emozioni a volte sconosciute, ricordando loro e a me stesso che a volte i “baffi di Macbeth” possono anche essere “attaccati” appena appena “storti” intenzionalmente.
Mi si potrebbe obiettare: “Ancora televisione? Non basta la presenza oppressiva che questo mezzo così pesante ha nella nostra vita? Perché anche il cinema dovrebbe occuparsene?”
Provare a frenare il dilagante, smodato uso della televisione è una battaglia persa in partenza. L’unica possibilità è combatterla con le sue stesse armi. Dopo mesi e mesi in cui i film di guerra sono stati sostituiti in prima, seconda e terza serata da immagini in diretta dei conflitti, con i commenti “a caldo” non più dai set ma dai luoghi dove i cadaveri giacciono ancora a terra nel sangue caldo, la tv ci sta facendo abituare all’orrore. Ecco il più grave pericolo: l’abitudine all’orrore fa sì che l’orrore diventi un’abitudine.
Scopo di questo cortometraggio è di far provare disgusto nel sentire l’ultima battuta in cui un “barracuda dei sentimenti” antepone l’importanza dei risultati auditel all’orrore per le migliaia di vittime della tragedia delle Torri Gemelle, chiedendosi senza troppa ironia lo share realizzato dal signor Laden.
Se un solo spettatore, dopo la visione di questo cortometraggio, proverà le mie stesse sensazioni di quel tragico pomeriggio e inizierà a riflettere su tutto quello che passivamente subiamo ogni giorno senza accorgercene, questo cortometraggio avrà raggiunto il proprio scopo: non ci si abitua all’orrore!
Ferdinando Maddaloni



Fonte: Ferdinando Maddaloni
 

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